La presa Usb e i dispositivi da svapo.

 A cosa serve?

Intanto, la porta USB è una interfaccia di connessione per il transito dei dati ed è principalmente utilizzata per connettere dispositivi (stampanti, scanner, dischi rigidi e ogni) a personal computer.

I vari tipi di porta USB 
La differenza tra le due prese USB più diffuse, quella a disegno “trapezoidale” ovvero l’USB 2.0 (sulle periferiche e sui PC distinte con per i connettori color nero) e l’USB 3.1 (che è quella che ormai troviamo diffusa su tutti i telefoni cellulari) è innanzitutto data dalla velocità di trasmissione dati (mediamente 280 Mps reali su USB 2.0 e una ventina di volte superiore su una porta USB 3.1 (o USB-c) ma in un dispositivo da svapo non ha senso valutare una velocità di trasmissione dati visto che si e no solo su alcuni è previsto l’aggiornamento del software della box, operazione da fare non più di un paio di volte nella sua “vita”.

Molto più utile valutare la velocità di ricarica e, soprattutto, se il dispositivo che fornisce energia (trasformatore-alimentatore) che quello che la riceve (la batteria del dispositivo da
ricaricare) è in grado di reggere in sicurezza il ciclo di ricarica.

Porta USB e amperaggi.

Perché se le porte USB sono retrocompatibili (posso tranquillamente collegare un dispositivo USB 1.0 ad una porta USB 3.0 che funziona, ovviamente alla velocità di trasmissione dati del dispositivo più lento) hanno però dei connettori (soprattutto i “maschi” che connettono i dispositivi) diversi?

Ovvio: perché ogni porta USB, oltre che velocità di trasmissione dati diversi hanno anche differenti tensione di alimentazione;

-          La prima porta USB, la 1.0, erogava 0.5 ampere massimi, motivo per cui poteva ricaricare e alimentare solo dispositivi semplificati: i vecchi dischi rigidi da 3.5” esterni, essendo più “affamati” utilizzavano cavi che avevano doppi attacchi USB al PC, anche se la velocità non cambiava riuscivano ad ottenere gli  0.5+0.5=1 ampere necessari al funzionamento; pochi dispositivi da svapo si ricaricavano da porta USB, solo le vecchie batterie Ego dei kit di più di dieci anni fa;

-          La seconda, la USB 2.0, erogava 1 ampere ed è la “porta” di ricarica ancora oggi più diffusa e quella genericamente utilizzata per la ricarica e l’aggiornamento dei firmware (dove possibile) nella maggior parte dei dispositivi da svapo, col suo classico connettore trapezoidale;

-          La terza, la USB 3.0 (identica come connettori alla 2.0 ma con gli attacchi di colore blu o marcati SS (SuperSpeed) che alimenta a 2 ampere con un prelievo massimo di 25 watt, non l’ho mai vista utilizzare su dispositivi da svapo

-          L’ USB 3.1 (o USB-C) che eroga sempre 2 Ampere ma senza la limitazione di potenza, in informatica è in grado di alimentare dispositivi esterni anche di una certa complessità ed è riconoscibile dal connettore più sottile e simmetrico (senza un lato di inserimento, come l’USB 3.0), diffuso su tutti i cellulari e su dispositivi da svapo (come la DelRo D60 e su molte pod mod).

 

E allora?

L’alimentazione elettrica

Se connetto un dispositivo ad una porta USB di un PC, so cosa succede, basta guardare il colore del connettore e ho risolto il problema mentre se debbo ricaricare connettendo il dispositivo all’impianto elettrico di casa (220 volt in corrente alternata) necessito di un dispositivo, un alimentatore dotato di trasformatore.

E, soprattutto, debbo sapere come funziona e cosa eroga.
I vecchi vapers, anni fa, piangevano le prime volte che ricaricavano le loro box utilizzando (o meglio riciclando) i “carichini” delle loro sigarette “eGo” in quanto, erogando 0.5 ampere, per ricaricare una batteria 18650 da 2500 mah arrivavano ad impiegare fino a cinque ore per una ricarica completa.

Anche se tutti i dispositivi a batteria rimovibile raccomandavano la ricarica tramite charger esterno, qualche dispositivo (mi ricordo la mia iStick 20 watt dotata di batteria fissa) forniva nel pacchetto un proprio caricabatteria da 1 ampere ma a quei tempi poteva essere utilizzato un qualsiasi caricabatteria da cellulare dotato di cavo micro-USB in quanto tutti erogavano 1 ampere.

Ma i problemi cominciarono successivamente con l’arrivo dei primi tablet di buon livello tecnico e dei più recenti smartphone che prevedevano la “ricarica veloce” utilizzando caricatori dotati di porta USB 3.0 in quanto erogavano 2 ampere fissi, senza porsi troppo il problema (come fa un charger digitale esterno) di che tipo di batteria va a ricaricare.

Trasformatore-alimentatore con il 
dettaglio della tensione in alimen-
tazione

Chi “comanda” è sempre il tipo di alimentazione, motivo per cui occorre valutare bene il tipo di trasformatore che si utilizza, se è sottodimensionato avrò una ricarica molto lenta, se è sovradimensionato (se utilizzo un trasformatore da 2 ampere connettendolo ad un dispositivo che prevede una ricarica da 1 ampere sì velocizzo i tempi di ricarica ma rischio un pesante surriscaldamento del dispositivo con una sua messa fuori uso (successo su moltissime box qualche anno fa).
Motivo per cui, prima di utilizzare un trasformatore, leggere cosa viene stampato su di esso (è obbligatorio sui prodotti marchiati CE) alla voce Output, dove mi dovrebbe indicare 5v(olt), il voltaggio in uscita e 1 o 2A(mpere), la tensione fornita, che sia compatibile con il dispositivo che andiamo a ricaricare.

 

Cosa debbo ricaricare?

La prima cosa da sapere è che tipo di batteria andrò a ricaricare, perché ogni batteria ha una propria “tolleranza” di assorbimento in ricarica.
Ad esempio, le Ni-cd (le comuni batterie ricaricabili per uso domestico) non accettano ricariche superiori ai 0.25 ampere (le ministilo) o 0.375 ampere (le stilo standard).

Le batterie 18650 a chimica Li-ion (agli ioni di litio) richiedono una ricarica di almeno 0.5 ampere (al di sotto del quale la batteria si ricarica a fatica e in tempi lunghissimi), 1 ampere è la loro ricarica ottimale, di più…
Le 16xxx (utilizzate sulla Billet R3 o sul Telegonos, il mini-tubo di Dicodes) Non reggono più di 1 ampere, oltre il quale rischiano il sovraccarico con surriscaldamenti anomali e, nella migliore delle ipotesi, il deteriorarsi degli elementi accumulatori una riduzione della durata di vita utile ed efficiente della batteria, le 18650 reggerebbero bene fino a 1.5 ampere mentre i due ampere in ricarica vengono retti tranquillamente dalle batterie 20700/21700 e 26650.

Discorso diverso le LiPo, le batterie ai Polimeri di litio che, per loro caratteristica (vengono utilizzati anche nei pack di alimentazione degli utensili wireless professionali) debbono reggere cicli di ricarica ultraveloci e reggono fino a 4/4.5 ampere in ricarica, sui dispositivi che lo prevedono e lo utilizzano.

Quindi è utile sapere, prima di tutto, che tipi di batteria si sta utilizzando, che è una cosa immediata se è una batteria rimovibile, meno se è un dispositivo a batteria fissa integrata.
Mediamente, se non diversamente indicato, i dispositivi dotati di batteria cilindrica sono dotati di batterie Li-Ion saldate (la mia vecchia iStick 20w era dotata di una Panasonic 18650 saldata) mentre se sono dispositivi più “piatti” o con dispositivi di accumulo di forma cilindrica (come sulla DelRo) sono dotate di dispositivi LiPo di forma più compatta ma con capacità di carica maggiore e in grado di tollerare cicli di ricarica ad amperaggio più alto.

Quindi, occorre tenere presente alcune cose:

-          Solo nel caso si utilizzino batterie a LiPo pack che reggerebbero amperaggi in ricarica più alti di quelli previsti dalle alimentazioni tramite USB-C, su tutti gli altri dispositivi è bene non eccedere il limite accettabile per ogni formato di batteria, tenendo presente che mediamente una batteria ricaricata a 1 ampere non viene sforzata, una ricarica a 0.5 ampere ogni tanto la “rinfresca” prolungando la sua durata di carica efficiente mentre una 2ampere su batterie 18650 nella migliore delle ipotesi deteriora anticipatamente le batterie usate, nella peggiore nel caso di batterie usurate surriscalda pericolosamente il dispositivo con un rischio di fuori uso, soprattutto se messo in ricarica incustodito nelle ore notturne;

-          40 euro per un charger digitale esterno sono una spesa ridicola, soprattutto se si usano dispositivi di un certo prezzo e valore.

-          Bisogna controllare, SEMPRE e PRIMA, che tipo di alimentatore si utilizza, per evitare di erogare tensioni in alimentazioni superiori a quelle dichiarate come accettabili dal dispositivo.

E tutto ciò non è una cosa da prendere sotto gamba, anzi: se mi compro una Abyss di Dovpo (meglio la versione DNA60, più affidabile di quella a circuito proprietario) e dotata di presa USB-c potrebbe reggere una ricarica a 2 ampere se ha installato una batteria 20 o 21700 mentre se la sto utilizzando con batteria 18650 e kit adattatore, questi 2 ampere sono pericolosi (pericolosissimi se il dispositivo è equipaggiato del circuito proprietario di DovPo, non proprio un’eccellenza tecnica), se dovessi utilizzare una DelRo D60e potrei fregarmene altamente, visto che è dotata di batteria LiPo.

Molto più seria la situazione se si compra una Ion Box di Protocol Vape Tech o una SX Mini Vi Class di Yihi, che utilizzando una batteria 18650 rimovibile ed essendo dotata di porta USB-C potrebbe sì essere ricaricata tramite fast charging anche se io eviterei di “strapazzare” un dispositivo (la Ion Box) dal costo dai 370 ai 500 euro e di cui potrebbe non essere nemmeno comodo ricevere assistenza tecnica in caso di danneggiamento o fuori uso.

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