La certificazione CE e RoHS nei prodotti da svapo

 Prodotto industriale, prodotto artigianale, prodotto certificato, prodotto no…..

Se ne sono sentite dire di tutte, che il prodotto che non contiene un circuito elettrico non deve essere certificato e quindi le box bottom feeder meccanice con una molla e due lamelle non sarebbero soggette a questa disciplina, una volta su un gruppo di svapo parlando di certe cose mi sono sentito apostrofare da un vaper istruito con un “e che cosa serve una certificazione, non è mica ammalata la box”. E lì chiusi la discussione.


 
Quali tipi di certificazione esistono? Tanti tipi, solo in Italia di certificazioni proprietarie esistono le certificazioni ISO e UNI, in Germania la DIN, ogni paese ha il suo criterio di certificazione.

Per cercare di unificare i criteri su base internazionale (per non fare impazzire i produttori dovendo certificare più volte lo stesso prodotto e per uniformare i criteri di valutazione per evitare che per piccoli vizi o differenze un prodotto fosse certificabile in un paese e non nell’altro) sono state via fatte confluire in due grosse direttive,la CE (che riguarda tutti i prodotti importati e commercializzati all’interno della CEE) e la RoHS più specificatamente riferita a dispositivi elettrici ed elettronici.

 Non sto ad impazzire a dissertare su chi e su cosa vada o meno certificato, allego un paio di bibliografie forse superficiali ma adatte a farsi un’idea del contenuto e della portata in merito alla normativa da applicare sia per la normativa afferente la certificazione CE che quella riferita alla direttiva RoHS

 Debbo certificare? Non debbo certificare?  Stranamente ci sono settori più qualificati (per le specificità d’uso) e molto più controllati (come il commercio di prodotti elettrici per uso industriale o professionale) in cui TUTTO è certificato, anche la più grossa banalità, basta andare al supermercato e comprare una presa elettrica perché quella del ferro da stiro si è rotta e anche una banalità da due euro e mezzo riporterà la sua indicazione CE stampigliata sul pezzo.

 E comunque, alcuni criteri di tipo generale:

- la certificazione deve essere rilasciata da un organismo riconosciuto e accreditato dalla Comunità Europea

- sulla certificazione (che dovrebbe essere esibita a richiesta del compratore da parte del venditore) dovrà essere indicato gli estremi dell’ente certificatore che ha provveduto a rilasciarla e gli estremi e il protocollo dell’accredito da parte dell’ente nazionale (in Italia ACCREDIA) che qualifica l’emittente del documento come ente autorizzato all’emissione della certificazione;

- sembrerà una banalità, ma sulla certificazione non basta che sia citata l’ottemperanza alle normative CE e RoHS ma anche l’estremo delle direttive specifiche che disciplinano i requisiti tecnici per il prodotto certificato)

- cosa è soggetto ad obbligo di certificazione e cosa possiamo non certificare è un problema di portata estremamente limitata, visto che dal 22 luglio 2019, entrando definitivamente in vigore la direttiva  CEE  2011/65/CE altrimenti detta “RoHS 2” TUTTO il prodotto elettrico, anche la componentistica base e a minor contenuto tecnico dovrà essere oggetto di certificazione.

E una box o un dispositivo meccanico a lamelle o ad attacco ibrido sono dispositivi che transitano elettricità (anche se a bassissima tensione) e/o vengono alimentati da componenti elettrici (le batterie) e quindi hanno tutti i crismi per rientrare nell’obbligo di certificazione.

 “Ma a me cosa me ne frega, vivo e svapo bene lo stesso….”

Forse è vero, forse no, una certificazione serve sia per attestare la sicurezza d’uso del prodotto (ma questo potrebbe essere evadibile aggiungendo nel manuale d’uso del prodotto che tassativamente DEVE corredare il prodotto venduto il disclaimer “il prodotto è destinato ad un utilizzatore esperto e in possesso di adeguate competenze tecniche per l’uso e la manutenzione dello stesso. L’acquirente dichiara con l’acquisto di esserne in possesso esonerando il produttore da ogni addebito relativi a sinistri cagionati da uso improprio del prodotto stesso”, e con la giustizia italiana un cliente che reclama un indennizzo per un danno causato da un prodotto difettoso farà molta fatica e porterà a casa pochi spiccioli) mentre forse ancor più importante è l’impiego di materiali idonei e privi di tossicità.

E questo non è propriamente una sciocchezza, visto che da sempre ci sono prodotti dall’aspetto innocuo ma con rischi tossici elevati, le nostre nonne andavano fiere delle loro cucine coi ripiani laminati in formica, un laminato plastico che non si bruciava ne si danneggiava neanche se per sbaglio gli venivano appoggiati sopra tegami bollenti appena tolti dal forno e solo successivamente si è scoperto che questi laminati, se ricaldati, esalavano formaldeide, composto gassoso dall’elevata tossicità.

 E ci sono prodotti che vengono utilizzati nei prodotti che utilizziamo che, a seconda della loro qualità, della loro titolazione tecnica o del loro tipo di lavorazione possono essere delizie o cose pessime e pericolose da utilizzare.

 Il teflon, detto anche Politetrafluoroetilene, è un must nella costruzione di drip tip isotermici, ovvero in grado di non surriscaldarsi nemmeno nel caso di usi a wattaggi molto elevati (cloud chasing) ma mentre esistono ricerche che attestano la sua pericolosità se riscaldato (comunque a temperature molto più elevate che quelle generate nello svapo, decomponendosi e rilasciando fluorurati, gas tossici contenenti fluoro che erano la base delle armi chimiche usate durante la prima guerra mondiale), non esistono ricerche che ne attestino l’innocuità nel caso di ingestione, motivo per cui il nostro bellissimo e sciccosissimo drip tip in teflon deve avere un aspetto solido e una finitura a lucido, un drip tip dalla finitura troppo morbida e “gommosa” potrebbe più facilmente rilasciare fibre; e nel caso di drip tip graffiato, scheggiato o comunque non integro, è consigliabile provvederne immediatamente alla sostituzione.

 Mamma quanto sono belli i “brass”, i big battery meccanici (alcuni estremamente costosi) lavorati i ottone massello.

L’ottone…. Bel materiale, che si scurisce (magari in maniera di dargli un aspetto molto vintage), molto più artistico rispetto ad un comunissimo acciaio inossidabile…

Il problema è che, essendo una lega ovvero un composto di altri materiali, non esiste “l’ottone” ma ne esistono vari tipi a seconda dei metalli che lo compongono: può essere ternario (ovvero composto semplicemente di rame e zinco, molto bello perché durante il medioevo veniva usato dai truffatori per stampare monete fasulle che sembravano monete d’oro ma per usi tecnici poco adatto perché non troppo solido) oppure quaternario, ovvero modificato con l’aggiunta di altri metalli (stagno, manganese, ferro, antimonio, alluminio, nickel o silicio) i grado di aumentarne la robustezza piuttosto che la facilità di lavorazione o la resistenza all’abrasione o alla corrosione.

E che’cce frega a noi?

Una delle titolazioni dell’ottone è anche la quaternaria con l’aggiunta di piombo (in termini tecnici ed in ambito industriale denominati CuZn38Pb2, CuZn39Pb2 e CuZn40Pb2) che ha il grosso pregio di essere particolarmente duttile ma robusta e ottima per essere facilmente fresata o lavorata a tornio, ma mentre non crea problemi se utilizzata, ad esempio, per produrre componentistica idraulica come valvole o pezzi di rubinetti è totalmente inadatta per essere usata per prodotti a contatto cutaneo (tenuti in mano o a contatto con la bocca, se usati per atomizzatori) data la natura elevatamente tossica del piombo.

E non sarebbe un problema se il produttore, dotato di coscienza civica e affetto nei confronti del consumatore mi ha usato un ottone ternario o un quaternario contenente ferro, stagno o manganese tutto va bene, se il prodotto è stato costruito dal sedicente modder che gioca col tornio nell’officina dell’amico o del “cuGGino” la tentazione di usare un quaternario contenente piombo è altissima, visto che è il migliore da lavorare a tornio, facile e in grado di poter essere usato per costruire pezzi anche molto piccoli, precisi e con tolleranze di lavorazioni basse. Con minor fatica nella lavorazione e maggiore velocità di produzione.

Ottone…. La maledizione del “chrome plated” che era il materiale più in voga per costruire atomizzatori agli albori dello svapo, ottone (anche in questo caso di titolazione ignota) cromato tramite bagno galvanico, prodotto che con l’uso tendevano a sbiadire lasciando l’ottone a vista (e lo zinco usato per la cromatura e abraso via via con l’uso non si sapeva dove finiva, nelle mani del vaper, nell’aria, nel liquido contenuto nell’atom?), motivo per cui, alle soglie del 2018 e con prodotto di fascia economica costruito in acciaio 304 o 316 il posto migliore in cui conservare dei CE4, dei vecchi Justfog o deglli Innokin iClear è il bidone dell’immondizia.

 Mamma mia… Il tank in policarbonato….

Il tank in policarbonato fu dotazione standard dei vecchi atomizzatori di fascia economica ma ancora apprezzato su alcuni atomizzatori di fascia più elevata, mi viene in mente l’Expromizer, gradito per la maggior robustezza anche se facili a crepature spontanee nel caso si usino liquidi organici o contenenti terpeni.
E anche in questo caso non esiste “il policarbonato” ma più policarbonati, anche in questo caso titolati in ben 7 gradi differenti.
Alcuni contengono PVC, polistirene o il velenosissimo bisfenolo-A, prodotti che non creano problemi per altri usi (ad esempio migliorare la resistenza alle intemperie di un fanalino da bicicletta) ma sono quanto di più pericoloso ci si possa inalare vapori, magari se esposti a riscaldamento a temperature anche medie.

Speriamo nella coscienza del produttore, nel dubbio basta un tank inalterabile in pyrex e passa la paura.

 Pyrex o vetro? Mi viene dichiarato un “pyrex tank” o un “glass tank”? Il pyrex è un vetro borosilicato pensato per contatto con sostanze chimiche (usi di laboratorio) e per l’esposizione ad alte temperature (i famosi vassoi in pyrex così comodi in cucina per cuocerci l’arrosto al forno) e come tale particolarmente solido, inalterabile e resistente a shock termici e alte temperature (che spesso si generano con build “carogne”) mentre i tank in vetro non presentano problemi di tossicità ma sono facili a rotture e crepe se esposti al caldo (atom surriscaldato o lavaggio con acqua calda per le pulizie periodiche.

Altro aspetto interessante, in caso di danneggiamento il pyrex crepa ma non si sbriciola generando schegge, tutti i miei Smok TCT, VCT e GCT sono finiti nell’immondizia dopo una moltitudine di tank rottisi spontaneamente, senza urti ne usi impropri (tanto quanto uso il Subtank Mini le volte che debbo ribattere chiodi e non ho voglia di cercarmi un martello).

 

Palle, palle, palle…..
Certo, posso comprare qualcosa (sulla fiducia nei confronti del produttore) e posso comprare un prodotto sano e di qualità (ma anche qualcosa più tossico delle vecchie Gauloises blu senza filtro, i vecchi fumatori se le ricorderanno) ma se compro qualcosa dotato di certificazione CE e/o RoHS SICURAMENTE andrò ad acquistare un prodotto sano e sicuro nell’uso.

 Esiste prodotto non certificato ma ottimo come le batterie LG e Samsung: visto che lo svapo è un settore marginale dell’economia mondiale e che tali batterie vengono impiegate al 90% come componenti di altri prodotti non debbono essere certificate loro bensì il prodotto finale che le impiega (ad esempio il battery pack di un computer portatile) il produttore non si spreca a fare certificazioni intermedie di poca utilità mentre erano certificate le Efest, batterie di qualità inferiore ma prodotte (rewrappando batterie Panasonic o LG) specificatamente per lo svapo, mentre sicuramente il prodotto certificato SICURAMENTE mantiene certi requisiti specifici di base.



Senza dimenticare che, dal 22 luglio 2019, come già detto, la certificazione diverrà obbligatoria per tutto il prodotto utilizzi o generi un alimentazione elettrica, quindi anche le nostre battery box e gli atomizzatori, alimentati da fonti elettriche.

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