Piccola storia dello svapo in bottom feeder

 

A cosa server il bottom feeder? Boh, che ne so.

Però magari è utile ripercorrere la storia che lo ha creato, visto che sarà (stata) anche l’ultima moda nel mondo  dello svapo (a detta di alcuni) ma è invece qualcosa di molto, molto, molto antico.

Preistoria dello svapo, quando gli americani facevano gli americani e gli europei non giocavano a copiarli: in Europa andavano per la maggiore i primi apparati a tank rigenerabili, il primissimi Kayfun, il Russian 91%, l’UFS, l’Ithaka e i primi prodotti di modding, per lo più su big battery meccanici (a quei tempi il Caravela Mod con le due caravelle serigrafate sul tubo era leggenda) tanto quanto negli USA andava per la maggiore il dripper come dispositivo da svapo, alimentato dalle prime battery box molto “schematiche” (o meccaniche “pure” o dispositivi dotati di regolazione del voltaggio PWM, tutte assemblate su scocche Hammond e differenziate solo per le verniciature personalizzate del modder”).
E i dripper di quei tempi erano molto diversi da quelli attuali, il cloud chasing era una disciplina sportiva praticata in gara e non una maniera diffusa di infastidire i colleghi sui luoghi di lavoro
Il Tobh Atty, autentico dripper-damigiana
molto in voga agli albori dello svapo

e i dripper erano tutti dotati di drip tip, se non standard, molto stretti, adatti per un tiro più degustato e aromatico che nebbioso, anche i dripper di dimensioni maggiori (come il Tobh Atty da 30 mm, camera di vaporizzazione enorme in grado da ospitare anche build complesse ma drip tip sempre e comunque stretto.
E i drip tip stretti impedivano il riempimento comodo dall’alto, come permesso dai recenti dripper con drip tip con attacco 808, occorreva tutte le volte “stappare” il dripper rimuovendo la camera di vaporizzazione, bagnare il cotone e ritappare, massacrando gli o-ring che o venivano cambiati di frequente o lasciavano il top cap solo appoggiato col dripper che si stappava e si smontava tutte le volte che non veniva tenuto in verticale.  

Eh, sì, che rottura di scatole, bisognava trovare una soluzione.

Sub Ohm Innovations (marchio molto antico anche se i suoi “tubi” sono tornati di moda di recente) ebbe una intuizione: far sovrastare un normale dripper da un tank pieno di liquido (da
Il disastroso e complicatissimo da assemblare
Big Dripper di Sub Ohm Innovations

ben 5 ml di capienza, abbastanza per fare tanti nuvoloni senza il problema di mandare il cotone in secca), normalmente isolati ma che tramite una pressione sul drip tip aprivano delle valvole di immissione del liquido dal tank al dripper alimentando il cotone.

Soluzione geniale, ma un po’ per la complessità dell’apparato (e per la sua complessa manutenzione), un po’ per la scarsa tenuta (dopo un po’ d’uso) delle valvole con perdite di liquido, allagamenti della camera di vaporizzazione e “bevute” dal drip tip entusiasmò molto chi lo vide ma poco chi ebbe modo di utilizzarlo.
Nacque così il top feeder, l’alimentazione dall’alto, soluzione che è stata recentemente ripresa dal Gragas di Oumier, anche lui un piccolo puzzle da assemblare e rigenerare che ha entusiasmato poco per via della complessità d’uso.

Fuori le idee!

Un modder americano, Reo Mods (autentico e storico classico dello svapo), ebbe una intuizione geniale: forare il pin di alimentazione elettrica del dripper creando un canale in cui poter far fluire il liquido in modo di farlo accedere alla camera di alimentazione e una box dotata di un flaconcino in plastica morbida che, se premuto (“squonkato” in termini tecnici) spruzzasse il liquido attraverso un foro del pin 510 della box e, attraverso il foro praticato nel pin centrale del dripper, fino al cotone, alimentandolo.

Soluzione intelligente che risolveva molti problemi: se nella pressione della boccetta fosse fluito troppo liquido nella camera di vaporizzazione, rilasciandola (e
La Reo Grand LP di Reo Mods,
il primo dispositivo ad alimenta-
zione esterna funzionante

quindi riprendendo la sua forma normale) avrebbe creato decompressione riaspirando il liquido in eccesso che non era stato assorbito dal cotone, geniale soluzione.
Se si fossero usati anche dei dripper con fori di immissione aria alti o addirittura praticati nel top cap (al di sopra del livello del liquido all’interno del dripper non appena squonkato) si sarebbe potuto creare un dispositivo perfetto  in grado di alimentare un dripper senza doverlo stappare (danneggiandone le guarnizioni) e (con un minimo di attenzione), senza creare perdite di liquido all’esterno.

 

Nacque così il bottom feeder.

Box molto costose perché di costruzione artigianale, in numeri molto limitati e a quei tempi commercializzate solo negli USA (e quindi soggetti a pesanti dazi di importazione se fatte entrare in Europa).

I tank si evolvono, arrivano i primi tank per tiro di polmone (anche rigenerabili) e il problema di dover sempre alimentare a mano un dripper diventa risolvibile e aggirabile nell’uso.

Ma lo svapo ormai è diventato una moda, non basta più svapare per farsi notare, quando eravamo in pochi bastava avere una normale sigaretta elettronica per essere puntati col dito per strada, oggi che lo svapo è stato culturalmente “sdoganato” bisogna farsi vedere con prodotti stravaganti e (meglio se) costosi e quale occasione migliore che una box bottom feeder?
Ce ne sono alcune (elettroniche) che sono dei veri capolavori di progettazione, altre che sono dei prodotti banali sovrapprezzati in maniera sproporzionata solo perché di moda, il problema dell’alimentazione non si pone più (grazie a Dio i tank sono stati già inventati) e anche la comodità di svapare con un dispositivo compatto ora è patrimonio di ottime mini box compatte con batterie 18500 e 18350 o con dispositivi ad atomizzatore integrato (le cosiddette AIO come le Billet Box).
Ma quando da una parte c’è un vaper voglioso di farsi notare svapando con un dispositivo stravagante e dall’altra un venditore in grado di produrre un prodotto facilmente ed economicamente (spesso, troppo spesso, si vedono “cose” prodotte con stampanti 3D e nemmeno di qualità eccellenti) “gonfiato” da santoni ed influencer in modo di renderlo di moda malgrado il prezzo sproporzionato rispetto al valore del prodotto stesso, il gioco è fatto.

Ok, qualche anno fa svapai per un po’ con una box bottom feeder, e pure (se tanto mi da tanto) bene visto che era una box bf circuitata Evolv DNA30, ma l’amore non sbocciò (per altro, sarà un mio difetto caratteriale, tutto ciò che è eccessivamente moda e massificato gode della mia antipatia).

Il meccanismo di alimentazione non serve a rendere più aromatico e migliore lo svapo, si parla sempre di dripper e di cotone bagnato, la vera “spinta” forse veniva data dall’uso di dispositivi di vaporizzazione dalla camera molto piccola (16 e anche 14 mm), quando ormai tutti i tank erano dotati di camere di vaporizzazione adeguate ai loro diametri (22 mm, poco ancora si trova ancora con diametri da 18/19 mm), cosa che rendeva molto più “densa” la vaporizzazione e la resa aromatica perché meno “diluita” in un maggiore volume d’aria.
Dicevo, con un tank ad alimentare la build non servono box stravaganti e costose (certe box di moda, delrin fresato e due lamelle si trovano vendute sui mercatini a prezzi degne di box “normali”di alto modding come le Wapari o le Mellody, per altro in legno stabilizzato e dotate di elettroniche al top della tecnica), forse l’unico grande punto di vantaggio di un’alimentazione manuale vi è nell’uso con dispositivi di alimentazione piccoli (è ridicolo tirare di polmone e fare cloud chasing con un dripper da 14mm in single coil che alla prima attivazione troppo prolungata si scalda e asciuga subito il cotone)  di liquidi ad elevata densita e con qualche problema di alimentazione ad immersione (ad esempio certi estratti organici dal tabacco molto densi e che sporcano molto il cotone), che alimentandoli manualmente non creano problemi ne di secca ne di allagamenti e liquidi stagnanti.

E lo svapo in meccanico… Con un transito di liquidi e potenziali perdite dal pin, o la box è costruita perfettamente bene o una box meccanica non rischia di danneggiare i circuiti, al massimo il dover disossidare le lamelle ogni tanto e dispositivi privi di elettroniche potenzialmente “in pericolo” sono usabili con maggior tranquillità.

Successivamente comparvero le prime box a mosfet, circuito facile da cablare, isolato, robusto e che, solo col pulsante di attivazione, riducevano il rischio di infiltrazione di liquidi e danneggiamento del circuito.

“Il bottom feeder, l’ultima novità del vaping”…..

No, assolutamente no.
Retaggi della preistoria dello svapo, quando qualcuno si stancò, drippando, di dover sempre spruzzare liquido con la sua boccettina ad ago.

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