C’era una volta il cartom

Oggi, tutti bravi e tutti belli, drip tip in resina e cap in ultem (che sempre di resina polimerica trattasi), atomizzatori in titanio perché più “gentili” con gli aromi (anche loro, per la minore propensione al riscaldamento e al “maltrattare” i liquidi come l’acciao) ma agli albori dello svapo non era tutto così.

Agli albori dello svapo gli aromi che si trovavano in commercio erano pochi, qualche tabaccoso cinese (il terrificante Virginia di Dekang che se svapato a voltaggi un po’ più alti e a vapore caldo poteva dare sentore di tabacco, più o meno, mentre appena la batteria si scaricava e la vaporizzazione si faceva meno vivace aveva un aroma tristissimo di amaretto di Saronno del discount e nocciola) e qualche buon aroma non tabaccoso (il mio piacere a svapare gusti diversi nacque a quei tempi, tra i pochi liquidi “plausibili” e piacevoli c’era la liquirizia e la menta di Mental. E poco altro).

 E uno dei primi “modi di svapare” era il cartomizzatore,

La struttura dei primi cartom

Il cartomizzatore era un cilindretto metallico riempito di materiale fibroso ed assorbente dentro il quale era “annegata” la coil, il corpo riscaldante.
Ed erano molto diversi da quello che vediamo ora in giro: intanto, a quei tempi, non esistevano attacchi eGo e 510, nati e sviluppati per il prodotto successivo, a quei tempi era in voga l’attacco detto “808”, un attacco più tozzo e corto e con un grosso foro passante per l’immissione dell’aria, a suo tempi impiegato nelle prime sigarette elettroniche, che erano vere e proprie sigarette dove la parte bianca (quella che nella realtà era il cilindretto pieno di tabacco) era costituita da una batteria e il filtro (la parte arancione) un mini-cartom con una capienza di liquido estremamente bassa e questo doveva essere un attacco robusto visto che con batterie da 280 mah (le più performanti per quei tempi) e capacità da 0,4/0,6 ml per “svangare” una giornata in ufficio occorreva un astuccio (di quelli da scuola) pieno di batterie e serbatoietti riempiti.
Vista di un cartom

E il cartom, a quei tempi, ricalcava la stessa architettura, seppur con capienze maggiori, un dispositivo da svapo che ancora oggi per lo svapo “caldo” ha una resa aromatica ottima (seppur diventato obsoleto per via della sua scomodità di manutenzione e per la scarsa durata d’uso).

Il cartom; un cilindretto metallico contenente un corpo assorbente e una coil e con, dall’altro

capo, un drip tip rimovibile per il riempimento di liquido.
E il cartom era qualcosa da doversi “preparare” dopo cena per svaparci il giorno dopo, visto che come dispositivo aveva un’attivazione molto lunga e meticolosa, un rituale fatto di poche gocce messe, attesa che fossero assorbite, altre gocce aggiunte ma non troppe per evitare che, con stagnazione di liquido non ancora assorbito il cartom “pisciasse” dal foro centrale dell’attacco 808 (che fungeva anche da foro di immissione dell’aria) e con tanta attesa e
Il cartom puncher, il "macchinino" per fare
i fori di immissione del liquido sul cartom

giusto utilizzo di liquido, se se ne metteva troppo si creava leaking e perdite, se ne si metteva poco oppure si aveva fretta di svapare senza attendere che il liquido fosse uniformemente assorbito dal corpo assorbente, partivano “steccate”, sapore di bruciato e cartom da buttare.
Ed erano guai, anche i cartom più economici, quelli cinesi, costavano prezzi impolitici rispetto al prodotto di oggi, se si voleva svapare di “eccellenza”, col “re dei re”, i cartomizzatori della Boge (ancora oggi ricercati e apprezzati da qualche old vaper) per usarli occorreva fare un mutuo in banca.

Data la scarsità tecnica dei dispositivi di alimentazione in uso a quei tempi, per poter funzionare senza prelevare amperaggi eccessivi per i dispositivi di quei periodo (le batterie eGo che per quei tempi erano il top delle performances usavano delle mediocrissime batterie 14350 saldate al loro interno) i cartom uscivano con resistenze molto alte, 2,1 ohm, il qualche Boge che ho usato 2,4 ohm e alcuni di loro arrivavano a valori di resistenza da 3,0 ohm e ciò comportava, per buone prestazioni, durate d’uso di batteria molto brevi (sotto i 4,0 volt la resa del cartom si infiacchiva anche se la batteria usata andava in blocco da carica bassa a 3,2 volt) e fu così che nacquero le prime “eGo Twist” (le batterie con la rotella in fondo, nominalmente per regolare il voltaggio, in realtà per tentare di compensare il voltaggio della batteria che si stava scaricano) e i primi dispositivi a voltaggio variabile e a batteria sostituibile come il Lavatube e il primissimo Provari (che veniva raccomandato da Provape per l’uso con batterie AW > le uniche sicure e efficienti a quei tempi e col suo cartomizzatore dedicato).

Svapo caldo (e necessità di batterie sempre cariche), poca durata (quando svapavo a cartom, e svapavo parecchio, un cartom non mi durava più di tre o quattro giorni) e conseguentemente costi alti ma soprattutto tanta scomodità: oltre che essere una specie di messa il doverlo preparare all’uso il cartom era da dover riempire abbastanza di frequente per non ritrovarsi a svapare “in secca” mettendolo fuori uso.

E furono così che arrivarono i “cartom 2.0” ovvero i cartom a tank: il vecchio cartom non era

Il Boge F16, forse il "re dei cartom"

più un cilindretto chiuso ma presentava delle fessure nelle fiancate ed era studiato per essere inserito all’interno di un tank in plastica contenente liquido (solitamente dai 2 ai 4 ml, aumentando la durata di svapo in maniera iperbolica) che lo alimentava per immersione, il cartom veniva inserito dentro sporgendo dal fondo solo per il pin di contatto elettrico alla batteria e in cima, estraendolo lievemente dal fondo e aprendo una fessura fra il suo top e l’attacco del drip tip (rimosso) era possibile effettuare il riempimento di liquido con le boccette ad ago che a quei tempi andavano estremamente in voga).

Grande invenzione, il cartom-tank si preparava la sera, si riempiva una volta la mattina prima di uscire di casa, il pomeriggio a “ora di merenda” e si arrivava a sera, senza il bisogno di essere sempre lì ad inumidire manualmente il corpo assorbente per poche svapate.

Uscì forse il prodotto migliore di tutta la storia di Smok, il DCT, cartom a tank di buona resa e con i cartomizzatori già preforati per poterli utilizzare.
Tolto l’attacco (stavano prendendo piede i primi attacchi 510 mentre l’808 stava andando in disuso) i cartom da tank e quelli per uso “da soli” erano del tutto identici e se uno voleva svapare coi Boge (almeno all’inizio) doveva dotarsi di un punzone portatile, il “cartom puncher” necessario per forare le fiancate del cilindretto metallico del cartom, per permettere l’alimentazione ad immersione una volta inserito nel tank.

Mamma mia quanto era bello il cartom…. Col suo bel tank faceva vapore caldo (la resa aromatica non era forse al livello dei dispositivi attuali ma anche i liquidi che si svapavano a quei tempi non erano il massimo per la degustazione), non perdeva liquido come facevano i phantom e i primi CE4 (solo la condensa, fattore fisiologico nell’uso di un dispositivo di vaporizzazione), a quei tempi era la “svapata dei signori”.

Unico difetto, il costo (molto elevato) dei cartom di ricambio e la scarsa durata d’uso.

Il Boge F17, corse il cartom "serio" più venduto 
della storia

E si stavano facendo largo la nuova evoluzione dello svapo, i clearomizer ovvero sempre tank, ma contenenti una testina prefatta (a quei tempi a top coil e corpo assorbente a wicks lunghe) sempre dalla durata d’uso abbastanza corta (rispetto ai 70/100 ml svapabili con certe coil attuali per il Nautilus di Aspire) ma con costi molto più bassi quando occorreva comprare i ricambi e, aspetto molto rilevante, la facilità di “attivazione”, si riempiva il tank si aspettava cinque minuti e si svapava, senza dovere fare le manovre ninja per almeno mezz’ora/45 minuti per attivare il cartom, facilità d’uso molto adatta per l’uso da parte di vapers inesperti, impazienti o alle prime armi.

Però il cartom…..
Al confronto dei primi clearomizer la resa aromatica del cartom stravinceva per qualità di svapo e appagamento ma il prodotto economico stava prendendo sempre più piede e per molto molto tempo (fino all’avvento dei tabaccosi organici) era un must per lo svapo di gusti tabacco (per via dell’ottima resa nello svapo “caldo” a voltaggi più elevati).

Tabacchi organici assolutamente no, data la durata bassa e l’impossibilità di ripulire il cartom dalle impurità una volta sporcatosi. E anche vietato usare liquidi densi, l’abitudine di aggiungere acqua nelle basi (a quei tempi era in voga la 50/40/10) era data dalla non elevatissima igroscopicità del cartom e dalla sua allergia a liquidi anche solo moderatamente più densi.

E così i cartom si avviavano a diventare un prodotto molto complesso, molto caro, difficile da  reperire ma prodotto “cult” per i vecchi intenditori.

Ormai di cartom non se ne vedono più in giro, nemmeno i ricambi in vendita.

Combo cartom+Provari 2, una volta "la Ferrari dello
svapo"

Però molto del cartom resta: il vecchio Innokin i30S con la sua “salsiccia” centrale sostituibile e con valore di resistenza da 2,1 ohm era a tutti gli effetti un cartom preforato di costruzione molto grezza (e ancora molto apprezzato da alcuni cultori dei gusti “tabacco chimico”) e tutte le vertical coil attuali, con la coil centrale attraverso cui c’è il flusso dell’aria “fasciata” intorno dal corpo assorbente ricordano un po’ il funzionamento e la progettazione dei cartom “dei tempi che furono”.

 

Cose importanti, la storia dello svapo è anche questa.

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