Una notte con…. Il DNA30 di Evolv.

 

Una delle cose che mi da più tristezza è girare per i mercatini dell’usato e vedere svendere dispositivi storici per un tozzo di pane e vedere box con circuiti che al confronto Cicciobello Parlante sembra un droide di Star Wars  prezzate a cifre folli (qualche mese, dopo o finiscono nei bidoni dell’immondizia o come fermaporta quando si fanno le pulizie di casa.

Patto che ogni box ha un suo uso e vedere un Kayfun Mini su una Geekvape Aegis è bizzarro (e ha anche poco senso), queste vecchie box per certi usi hanno rese e prestazioni ancora emozionanti.

E per il vaper con le idee chiare potrebbero essere un acquisto strepitoso e fonte di grande soddisfazione nell’uso, molto più che cinesate del piffero da tre soldi, brutte, tecnicamente tristi e con la batteria incorporata.

Qualcuno un po’ di tempo fa a darmi del rigattiere perché svapavo con certe cose….
Intanto i Provari 2.5 che fino a non troppo tempo fa venivano regalati a prezzi ridicoli “perché fanno cagare, hanno pochi watt e non leggono coil a bassa resistenza mentre oggi hanno raddoppiato le quotazioni e si fanno fatica a trovare e c’è gente che in cambio di una Radius pagherebbe un mare di soldi e darebbe pure il numero di telefono dell’ex fidanzata….

Inizio con forse il circuito che ho amato di più, quello con cui ho iniziato a svapare “bene”, un circuito che ha avuto una grossa evoluzione e molte versioni successive, ma che resta per un certo tipo di svapo ancora imbattibile: il DNA30 di Evolv.

Il DNA30 nudo come Evolv l'ha fatto.....

Le prime box (americane) erano state costruite raffazzonando circuiti espiantati da big battery “tuboni” (le più lussuose da dei Provari 2) o con degli stabilizzatori di voltaggio industriali (come i Raptor di GE Solutions) fino all’uscita del DNA20 di Evolv, il primo circuito nativo per essere installato su una battery box.

Circuitino intelligente, di prestazioni molto buone e di dimensioni compatte, facile da cablare e installare su battery box anche molto compatte, con poche pretese di spazio, cosa che ne fece da li a poco uno standard industriale amatissimo dai modder (a differenza dei circuiti Yihi, più performanti ma anche più ingombranti nelle dimensioni.

Dopo i primi inizi molto preistorici ed artigianali lo svapo si evolve e cominciano a circolare le prime batterie “non Duracell”, adatte a prestazioni elevate e in grado di alimentare resistenze non più solo altissime e anche Evolv si “evolve”: nasce così il DNA30.

Gran circuito davvero, 30 watt (in grado di alimentare anche apparati a resistenza bassa), 0,5 ohm nominali di minimo lettura di resistenza, richiedeva batterie da 20 ampere di scarica nelle specifiche tecniche (quando ancora i Provari erano limitati in scarica a 4,5 ampere) e ancora Yihi non aveva iniziato a produrre la sua serie SX330 (la 300 era un clone del DNA30 con display modificato e molte box come il clone Wotofo della ZNA DNA30 dichiaravano come circuito (clone) uno Yihi SXA300.

 La storia.

Mentre oggi tutti i circuiti sono uguali se aggiornati allo stesso firmware, i DNA sono sempre stati

Il display del DNA30, un classico dello svapo

particolari, apparentemente simili ma differenziati nelle prestazioni in base al firmware installato.
E di DNA30 ne ho avuti modo di notare almeno due versioni differenti.

La prima versione, la più vecchia, era riconoscibile per avere il display “lento” dove variando i wattaggi i numeri cambiavano a scatti, un po’ come i vecchi pannelli indicatori degli orari delle stazioni dei treni.

Si distingueva nell’uso per la non “precisissima precisione” nel leggere la coil, lo uso su una vecchissima Vaporshark rDNA30 (vecchissima, quando ancora le box Vaporshark erano verniciate ma non “gommate”) e su una Zero clone col circuito sostituito con un DNA30 originale Evolv e già con coil sotto gli 0,55 ohm (qualcosa sopra gli 0,5 ohm nominali di minimo dichiarato) già inizia a segnalare “check atomizer” avendo problemi di lettura (per lui, resistenza con valore molto basso) ma aveva una piacevolissima erogazione scorbutica ed aggressiva, forse per via di una stabilizzazione del voltaggio non precisissima al centesimo di volt, una erogazione ancora splendida anche con coil alte, rendendo più “rotonda” e piena la vaporizzazione dell’atomizzatore rispetto, ad esempio, all’uso di una SX Mini in modalità standard, ottimo per “muscle vaping” con coil a resistenza non bassa.

La seconda versione di firmware (che ho installato su una box che ho fatto ricablare con un circuito Evolv DNA30 originale) arriva invece a leggere resistenze fino a 0,45 ohm (qualcosa sotto il minimo dichiarato) e in virtù di una stabilizzazione del voltaggio più precisa sembra meno aggressiva come erogazione (dovessi fare un paragone assolutamente ignorante, il vecchio DNA30 era come la Chevrolet Corvette degli anni ’80, il nuovo come una Lamborghini Gallardo) ma restava sempre un circuito molto “molto emozionante” e piacevole da usare, meno  bolso e fiacco delle iStick 20 e 30 watt che giravano a quei tempi.
Questo aggiornamento fu forse motivato dal fatto che, con l’arrivo dei vari Atlantis e Subtank vi era la necessità di un circuito in grado di alimentare e gestire questi apparati, con coil da 0,5 ohm e con potenze massime d’uso da 25 a 30 watt.

 …era brutto da….

Il mio primo DNA30, la prima Vaporshark
grigia e lucida anzichè con la finitura nera
e gommata
Era un circuito entusiasmante per la sua aggressività ma che veniva pagata con consumi di batteria elevatissimi (e quindi durate d’uso basse), cosa che consigliava il suo utilizzo su box con vano batteria apribile (a quei tempi ancora non andava di moda la chiusura a magneti, vi erano solo box con vano chiuso a viti e poche con tappo svitabile, come la Zero e i vari cloni).
La mia amatissima Hana Modz (che mi ha “insegnato lo svapo”) con il vano chiuso a viti e che si scaricava nei posti più impensabili (e sempre senza cacciavite dietro) mi costringeva a portarmi dietro, quando dovevo stare fuori di casa tutta la giornata per motivi di lavoro, una box carica di riserva e appena a casa a ricaricarla tramite porta USB (cosa disdicevole e consigliabile, ma dopo aver spannato il primo set di viti a croce mi è passata la pazienza).

Altro uso sconsigliabile, oggi, è l’uso di resistenze ultra basse, quando ci svapavo con l’Atlantis mi teneva la carica per 4 o 5 ore al massimo, da tornato a casa da lavorare a ora di andare a letto.

 …era bello da…..

 Erogazione piena ed aggressiva ma consumi di batteria un po’ elevate non lo rendono perfettissimo su gusti mentolati “hard core” e con build a resistenza ultra bassa.

Però su gusti “round” come cremosi o tabacchi dal gusto morbido la sua erogazione lo rende ancora perfetto (stesso atom, montato su un DNA30 o su uno Yihi cambia molto la resa aromatica a parità di potenza, sto svapando un Pride di Super Flavour su Vaporshark rDNA30 su Kabuki e coil da 2,1 ohm e onestamente, anche girando su più box e diversi circuiti (modalità d’uso non boostate) riesce veramente molto bene, meno aggressivo ma forse più “raw” rispetto ad un Provari e più cattivo ma meno “cremoso” di un Dani Estreme V1 (l’erogazione più piena e forse la migliore stabilizzazione del voltaggio che abbia mai provato) ma che si lascia dietro i vari SX350 (anche in modalità Powerful riescono molto aggressivi ma meno “pieni” come resa) e anche il più recente VO75.

Sopra ohm, coil da 1,5 ohm in su (tra l’altro la necessità di minori amperaggi d’uso “allunga” la vita delle batterie), aromi dal gusto morbido e rotondo, a mia opinione resta ancora una delle erogazioni migliori in circolazione, col pregio e vezzo di poter usare apparati vintage (che fa molto chic).

O anche un VCT o un Castle Long e tutti i tabaccosi morbidi vengono resi dal DNA30 in maniera spettacolare.

 

Trucchetti

Grande box, fu la prima dotata di hotkeys, ovvero di funzioni speciali premendo combinazioni di tasti (le Raptor venivano messe in tasca accese e senza possibilità di bloccare il tasto, col rischio di bruciarsi il taschino dei jeans): cinque click = blocco tasti, mantenere premuti i tasti di potenza contemporaneamente = la box resta attiva ma viene bloccata la potenza, per evitare che pressioni accidentali possano cambiare le impostazioni, Fire + tasti di regolazione di potenza attivavano la funzione Stealth Mode (ovvero lo spegnimento del display nell’uso normale con riattivazione solo nel caso di necessità di segnalazione di errore, funzione utile per ridurre i consumi di batteria) oppure di inversione del display per l’uso da parte di svapatori mancini.

“Eppoi? Non ha la funzione bypass…”
Vero ma non verissimo: i circuiti Evolv DNA30 non supportavano lo step down ovvero lavoravano in moltiplica di voltaggio (stabilizzando i voltaggi elevando il voltaggio ceduto dalla batteria fino a massimo 8,3 volt ma erano limitati “in basso” a 4 volt, motivo per cui non erano in grado di erogare potenze inferiori a 16 (4 volt al quadrato) / valore di resistenza della coil installata e tentando di impostare valori di potenza inferiori sui circuiti Evolv originali inizia a lampeggiare l’indicazione del valore della resistenza.
E’ il circuito che indica che il valore di potenza impostato a display è troppo basso per quanto la box possa ridurre il voltaggio al suo minimo erogabile, indicando il disaccoppiamento del circuito di stabilizzazione del voltaggio che veniva disattivato, lasciando la box erogare il voltaggio ceduto dalla batteria (purchè superiore a 3,2 volt, al di sotto del quale il circuito segnalava lo stato di batteria scarica (“check battery”).

Gran trucco, permetteva di svapare in modalità meccanica prima che Yihi introducesse la modalità “bypass” sulla sua SX Mini S-Class, nelle versioni firmware più recenti anziché il solo lampeggio della indicazione degli ohm è stata sostituita dall’indicazione (non bloccante) “Too low power setting”.

 Conclusioni

Si “gira in giro” e si guarda, si trovano box da 45 euro sui soliti siti noti, delle “cinesate” da commuoversi ad usarle, in shop fisico si trovano a 70 euro (o anche più) delle modeste iStick Pico 75 watt.
Ma su certi mercatini si vedono delle DNA30 originali Evolv a prezzi da 50 o 60 euro, occasioni imperdibili per gli amanti di un certo svapo, box dalla resa eccellente e con tutto il fascino del prodotto vintage.

Tra l’altro la valutazione di una DNA30 usata è abbastanza empirica ma facile: se il pin è in buone condizioni (non risulta spannato o danneggiato), aprendo il vano batteria non si sentono odori strani (indicatori di perdite di liquido che abbiano allagato il circuito) o ossidato la pulsantiera, i circuiti Evolv o escono difettati dalla fabbrica (“muoiono” subito le prime volte che si usano, se escono “buggati”) oppure sono circuiti pressoché eterni, ho dei vecchissimi (o forse anche di più) DNA20 e 30 che mentre il padrone, in tutto questo tempo, ha messo su chili e rughe, loro vanno ancora come fossero appena usciti di fabbrica.0.

A30 con display modificato e molte box come il clone Wotofo della ZNA DNA30 dichiaravano come circuito (clone) uno Yihi SXA30

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