Premessa: guardato con gli occhi di oggi, dove un circuito
DNA60 costa una sessantina di euro comprato al dettaglio (all’ingrosso forse
anche di meno) che opportunamente aggiornato è un circuito con prestazioni
fantascientifiche, tutto in un Provari è vecchio.
Ma ciò conta poco, la regina delle motociclette americane,
la Harley Davidson è micidialmente vecchia, identica a se stessa da 80 anni o
quasi e svecchiatasi solo di recente più per rendere omologabili i propri
prodotti in base alle nuove normative di sicurezza e antinquinamento che per
reale spirito di innovazione.
Ciclistiche scomode, motori alcuni ancora a due valvole per cilindro (quando
ormai anche gli scooter ne montano 4), pesanti e poco comode.
Però chi cerca un’Harley Davidson cerca “quel motore bicilindrico”, la marmitta
che fa “quel rumore”, “quel telaio”, magari scomodo e pieno di vibrazioni ma
tremendamente riconoscibile. “LUI”.
Tanto tanto tempo fa, quando ancora non esisteva la parola
“elettronica” dello svapo e si utilizzavano o dispositivi meccanici (circuito
elettrico alimentato da una batteria e “chiuso” da un interruttore a pressione)
o PCB di protezione sulle batterie eGo a batteria fissa, i primi a pensare ad
un circuito elettronico di protezione e stabilizzazione del voltaggio specifico
per lo svapo furono (come sempre, a quei tempi) gli americani di Provape.
E nacque il Provari: uso obbligatorio dell’anello estetico per installare atomizzatori da 22 mm di diametro visto che ai tempi in cui venne progettato gli atomizzatori erano da 14 o 19 mm di diametro, contatto del circuito progettato in maniera tale da poter utilizzare solo batterie col pin (ora sempre meno reperibili in giro mentre prodotti concorrenti e “coetanei” come il Semovar di Svoemesto e il Dani di Dicodes già potevano utilizzare le batterie flat top, che da li a breve sarebbero diventati standard
| Il primo Provari 2, riconoscibile dalla scritta "Provari" stampata |
industriali e commerciali (molto più facili da reperire), vecchia la limitazione minimo di carica della batteria a 3,6 volt in scarica (3,8/3,9 volt a batteria “ferma”), adatta per non demolire la chimica degli accumulatori usati una volta ma eccessivamente alta (le moderne high drain funzionano perfettamente senza danneggiarsi fino a 2,8 volt di carica), vecchia la limitazione di sicurezza agli amperaggi impostata a livelli molto bassi, pensata in tempi in cui si svapava a resistenze diabolicamente alte (in pochi scendevano sotto i 2 ohm e i i cartom che quei tempi andavano per la maggiore avevano resistenze da 2,4 ohm o anche più) e le batterie erano poche, fiacche e delicate e “pretenderci” troppi ampere significava danneggiare la batteria e forse anche l’apparato che le utilizzava.
Il Provari è vecchio, il Provari (dicono) è superato. Ma
intanto il Provari è il Provari. E gli altri no.
I vaper della preistoria svapavano con le batterie eGo e i
più tecnici con le eGo Twist, batterie dotate di un potenziometro sul fondo
teoricamente per regolare il voltaggio, in pratica (data la sommarietà del
circuito) per rincorrere, aumentando il voltaggi impostato, l’effetto di
infiacchimento della svapata dato dalla batteria che si stava scaricando.
E i più “sperimentali”, big battery su cui venivano
installati dei “kick” (gli antenati degli attuali MosFet) per tentare di
stabilizzare il voltaggio e per evitare di darsi fuoco al primo problema di
coil danneggiata o cortocircuitata.
E il Provari. Dal prezzo inavvicinabile (quando uscì il Provari 2.5 lo si trovava a 300 euro) e
| Provari 2.5, riconoscibile per la scritta Provari in engraved |
difficilissimo da trovare.
Però bellissimo: materiali di prima scelta, lavorati bene,
un prodotto che “sudava” classe ed opulenza solo a tenerlo in mano, un prodotto
che ti “faceva sentire un signore” ad usarlo, qualcosa di magico.
Con qualche difetto da tenere presente: il pin 510 non era
il massimo della robustezza e se sforzato facilmente rischiava di andare fuori
uso ed era pure poco “isolato”, nel caso di infiltrazioni e perdite (leaking)
di liquido dall’atomizzatore molto facilmente riusciva ad infiltrarsi nel
circuito, ossidandolo e mettendolo fuori uso, tant’è che i modders di
Atmistique commercializzarono un accessorio, l’”Hippo” che oltre che funzionare
da anello estetico permettendo di alloggiare senza sbalzi atomizzatori anche da
22 mm fungeva da “pin sopra pin”, permettendo di isolare il circuito
proteggendolo da perdite di liquido dall’atomizzatore.
E le dimensioni, gli americani non sono notoriamente garbati e discreti ma il circuito del Provari è stato progettato molto pensando alle prestazioni e poco alla miniaturizzazione, tant’è che il Provari è mediamente più lungo di altri big battery a parità di batteria installata: il Provari Mini (il Provari per
| Provari 2.5 con extension per montare batterie 18650, praticamente un manganello |
eccellenza) in configurazione standard (batteria 18350, il setup che io preferisco) è molto bello e compatto, utilizzando gli extension ring per poter montare batterie di maggiori dimensioni e capacità il Provari con installato una batteria 18650 e magari un atomizzatore non bassissimo arriva ad assomigliare ad uno sfollagente, per la sua lunghezza.
Però stabilizzava il voltaggio in maniera vera, con una erogazione elettrica piena ed aggressiva che “dava colore” migliorando nettamente la resa aromatica degli atomizzatori che si usavano, un dispositivo che veramente migliorava “the vaping experience”, come dicono gli americani.
…va male per…..
Tutti coloro che non amano svapare a resistenze alte (sopra
gli 1,2 ohm): il circuito è limitato (per protezione da sovrascariche) ad
amperaggi molto bassi e se il valore di voltaggio impostato / valore in ohm
della resistenza è superiore a 3 il big battery si blocca e segnala errore,
tentando di erogare un voltaggio non generabile per via del blocco degli
amperaggi, motivo per cui se si scende di resistenza (restando comunque sopra
il minimo di 1 ohm e pure abbondante, valore oltre il quale il circuito non
rileva la coil) occorre ragionare bene sulla build che si usa e il voltaggio
che si vuole andare ad impostare.
E va male per chi ha pretese di durate di svapo elevate, il
circuito Provape oltre che essere tarato con minimi di carica molto alti ha
consumi elettrici molto elevati: usare il Provari fuori di casa si finisce
sempre in versione “estesa” e batteria 18650 installata (e pantaloni coi
tasconi ai lati, ciò che ne esce è impossibile tenerlo nel taschino della
camicia), con la batteria 18350 mi è capitato (dalle 18.30 all’una di notte, a
cena a casa di amici) di ritornare a casa installando la terza batteria
avendone scaricate due cariche al 100% nel resto della serata).
…va bene per…
Intanto, per nostalgici e cultori dello svapo “old school”,
con una coil a resistenza alta il Provari da il meglio di se.
Erogazione piena, “grassa”, riesce veramente a dare “spinta”
a gusti tabaccosi, cremosi e in generale a tutto quello che aromaticamente
riesce meglio se svapato a temperature più alte.
Il Mini con batteria 18350 è un pezzo d’arte, ottimo per
svaparci dopo cena ascoltando musica in cuffia (senza il problema di portarsi
dietro zaini pieni di batterie di riserva), un dispositivo bello ed elegante,
uno dei pochi miti e classici dello svapo.
Conclusione
Non è sicuramente un dispositivo duttile come una battery
box e sente molto scelte tecniche fatte in periodi molto “antichi” della storia
dello svapo quando il materiale era meno evoluto e specialistico, motivo per
cui va considerato come un qualcosa da utilizzare per usi o momenti particolari
piuttosto che un dispositivo per svapo “all day” e su cui giostrare tante
configurazioni e build differenti, per quello meglio una battery box con circuito più recente.
Però, come “pezzo extra” per uno svapo particolare, senza
pretese di durate di batteria lunghe, il Provari resta qualcosa di unico e
inimitabile, un “must have” che a un vero appassionato di svapo non può
mancare.
| I miei amatissimi Hippo di Atmizoo, perfetti come adattatori da 18 a 22mm e come protezione per il pin 510 |
Elegante, particolare, costruito, ricco di fascino, per molto tempo lo si vedeva “svenduto” sui mercatini perché in pochi avevano voglia di capirlo e usarlo (spesso indisponendosi per le segnalazione di errore date dal firmware, senza essersi lette le specifiche tecniche prima di usarlo) e “perché se non ha almeno 100 watt non serve a niente”, e si trovavano dei Provari a prezzi ridicoli, pressoché regalati.
Provape a febbraio 2017 ha cessato la produzione (anche del
Provari Classic, che è solo un aggiornamento estetico del 2.5 ma identico nel
software), cominciano a trovarsene pochi in giro (esaurito negli shop da anni e
ormai chi ancora lo possiede è difficile che lo rivenda) e le quotazioni di un
usato in buone condizioni di estetica e di elettronica ha già sensibilmente
aumentato le sue quotazioni rispetto a qualche anno fa.
“Ce l’ho, lo uso poco”. Certamente, non è un “multiruolo”
come potrebbe essere una battery box circuitata con uno degli ultimi DNA, ma
anche usandolo un paio di serate al mese, con un buon atomizzatore da tiro
“chiuso” e a resistenza alta e un buon gusto morbido (un Castle Long di Five
Pawns o un VCT di Ripe Vapes, aromi ormai storici perfetti per vaper nostalgici)
riesce sempre a rendere quelle due sere due serate speciali.
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