I cosiddetti "circuiti a MosFet" da svapo.

 

E’ mia opinione che nel mondo dello svapo, ormai, si sia inventato praticamente tutto il possibile (almeno sul piano degli hardware): circuiti dotati di controllo temperatura ultraprecisi, con una gestione della batteria ottima e in grado di “scatenare” fino a 200 watt (non di più, se si tratta di normali batterie agli ioni di litio formato 18650/20700/21700), soglia di potenza altissima visto che con meno della metà siamo in grado di goderci i nostri home theatre dando il massimo disturbo ai vicini.

E in un mondo in cui bisogna vendere per fare mercato spesso il “riciclare” idee già sfruttate in maniera intelligente è quasi innovazione.

Tanto tempo fa, una decina d’anni o forse qualcosa di più, il prodotto tipico da svapo era la vecchia batteria eGo: un cilindretto metallico contenente una batteria agli ioni di litio di formati ormai “estinti”, 14350/500 le più sottili, 16350 o 16500 quelle a maggior capacità di carica, formati di batterie che restano ormai solo su prodotti particolari come la prima Billet Box con circuito varivolt o i tubi “tiny” di Dicodes, i Telegonos.
Visto che una batteria abbandonata a se stessa è pericolosa (in presenza di coil difettosa che crei un cortocircuito può rischiare di danneggiarsi e fare danni all’utilizzatore del dispositivo e nel caso venissero super utilizzate mandando la carica residua sotto i 2.2/2.3 volt diventavano praticamene non più ricaricabili con i normali charger (i “carichini” di una volta) in dotazione, occorreva un qualche dispositivo che facesse da “guardiano”.

La classica PCB per svapo, in questo caso una 
vecchia "pennetta" Ego-T

E così nacquero le prime PCB (printed circuit board, schede di circuito stampate, così chiamate per via della loro semplicità costruittiva): circuiti molto semplici, dotati di un pulsante di attivazione (per svapare) e di poche ma utili funzioni: con cinque click si accendeva e si spegneva (per evitare di mantenere in tasca un dispositivo elettrico acceso e attivabile con una pressione accidentale del tasto), in grado di bloccare l’erogazione in caso di amperaggi eccessivi (volt/resistenza, e se il valore di resistenza è eccessivamente basso rischia di danneggiare la batteria utilizzata o è indice di un cortocircuito) e quando la carica della batteria tende a calare troppo (intorno ai 3 volt i dispositivi di una volta, visto che le batterie “high drain” a prelievo elevato di corrente ancora non erano così diffuse) il dispositivo si bloccava e tramite il lampeggio di un led (spesso inserito nel pulsante in plastica di attivazione) indicava con un lampeggio rosso la necessità di ricaricare il dispositivo.
E i dispositivi più evoluti (le batterie Vision Spinner, le Innokin e le Joyetech) erano dotati anche di un minimo stabilizzatore di voltaggio in grado di stabilizzare a 3.7 volt il voltaggio ceduto dalla batteria che a piena carica erogava 4.2 volt calanti via via con l’uso, alcune addirittura con la possibilità di scegliere il voltaggio in erogazione tramite un potenziometro regolabile posto nel fondo della batteria (le Vision Spinner) o tramite pressioni del tasto di attivazione che permettevano di scegliere tra tre o quattro soglie di voltaggio presettate (le vecchie batterie di Innokin).

I circuiti come quelli che si usano oggi ancora non esistevano, di “elettronico” c’era ben poco, i Provari, dispositivi che allora costavano intorno ai 250 euro o i PWM, le battery box americane a voltaggio stabilizzato e regolabile (in sostanza simili alle HexOhm o alle Hammer of God che ancora si vedono in giro), dispositivi però pesanti e ingombranti e una soluzione tecnica semplice ma efficace come la PCB poteva essere interessante anche per dispositivi di fascia più alta.
Fu così che Evolv (seguito a ruota da Sigelei) inventarono il “kick”, un minicircuito da utilizzare su big

Il famoso "Kick" prodotto da Evolv

battery “tuboni” meccanici, da fissare tra il polo positivo della batteria e quello del dispositivo da svapo in grado di stabilizzare il voltaggio, bloccare eventuali sovrascariche da cortocircuito e in grado di segnalare e bloccare il dispositivo in caso di batteria scarica; ebbe una certa diffusione 7 o 8 anni fa, salvo poi venire superati dalle prime elettroniche da tubo (Dicodes, Semovar by Svoemesto e altri big battery Sigelei e Innokin dotati di circuiti proprietari) e da battery box (i primi DNA, i primi circuiti Yihi  e altri chip proprietari progettati dai produttori dei dispositivi), economici, performanti e con molte più possibilità di regolazione. E così le PCB vennero dimenticate. Forse.

Aneddoto: spesso si trovano ancora in negozio aperti da molto tempo batterie (solitamente le AW o le Panasonic NCR) di misure strane, come le 18490 lievemente più corte delle 18500 standard, batterie “speciali” studiate per poter essere utilizzate in dispositivi di misure standard con il kick installato, che creava comunque un minimo di spesso extra.

Torna di gran moda lo svapo in bottom feeder, ovvero lo svapo con dispositivi privi di “cisterna” del liquido (dripper), col pin forato (in grado di far transitare liquido) e alimentati a “schiaccio” (o squonk, come è più chic da dire) tramite una boccetta posta sotto il dripper, modo di svapare “old America” visto che agli albori i tank quali il Kayfun, l’Ithaka e il Russian 91% erano usati solo in Europa e deprecati negli USA e di conseguenza, dopo il fallimento del “Big dripper” di Sub Ohm Innovation (un dripper dotato di un serbatoio del liquido sopra il deck dove premendo il drip tip teoricamente si doveva inumidire il cotone, in realtà lo si allagava con perdite di liquido e bevute, in un dispositivo complicato da smontare, lavare, riassemblare e rigenerare), Reo Mods inventò la sua box meccanica, la prima vera box bf della storia.

Perché ancora fino ad un paio di anni fa si vedevano tante box bf “meccaniche” (ovvero con un transito elettrico diretto tra i poli della batteria e l’atom senza dispositivi intermedi di sicurezza)?
Perché erano facili da costruire (malgrado il prezzo elevato), piegare una lamella e fissare una vaschetta 510 con fissaggio a dado esagonale nella scocca erano operazioni banali, ma anche perché il dispositivo ne risultava meno esposto a danneggiamenti.

Uno dei mali tipici delle box bf erano le perdite di liquido dal tubo che andava dalla vaschetta 510 alla boccetta o perdite dal pin forato (se non perfettamente regolato in altezza e combaciante con quello del dripper), fastidiose nei casi più semplici (ci si ritrovava una box sporca di liquido in tasca) dannose negli altri casi (perdite di liquido che allagavano il vano interno, se va bene sporcando la batteria, se andava male e se la box non era costruita in maniera intelligente con un vano circuito-display sigillato e pulsanti senza gommature di protezione da sporcizia e liquido) mettendo fuori uso il circuito della box.
Problema grosso, la maggior causa di “mortalità” di un circuito eccellente e ultra utilizzato dai modder come il DNA40 di Evolv erano proprio le infiltrazioni di liquido che andavano ad ossidare i suoi componenti, mettendolo fuori uso.

Che fare?

Fu così che un produttore di circuiti (italiano) ebbe un’intuizione: riutilizzare l’idea delle vecchie PCB, assemblare un circuito di ridotte dimensioni (facilmente cablabile in un vano sigillato e protetto dalla box) che proteggesse da cortocircuiti (dando sicurezza al dispositivo), avvisasse nel caso di batteria scarica (per evitare di danneggiare la batteria mettendola fuori uso) e, meglio, stabilizzasse il voltaggio in erogazione per evitare la spiacevole sensazione di “svapo calante” che si fiaccava con l’uso e la batteria che via via si stava scaricando.

Il "bomberino" di Omega Vaper,
il primo MosFet "moderno"

Vart’è ne produsse uno non di dimensioni piccolissime che equipaggiava le sue box (mi ricordo la Bull Box) mentre quel genio di Omega Vaper (inventore del ProWatti, il circuito sub ohm alta potenza con le migliori prestazioni per “tuboni” e dell’Aulus, circuito che ancora oggi è tra i meglio progettati e performanti) ne produsse una versione di dimensioni ridottissime, perfetto per venire installato sigillato nelle box, un circuito praticamente indistruttibile da sporcizia e perdite di liquido.
Così nacque il Bomber Tube (altrimenti detto “bomberino”), e così tra le “rustiche” box bf meccaniche e le delicate box circuitate si diffusero box bf sicure, robuste e appaganti (anche se prive di regolazione di voltaggio, con 3.7 volt stabili e una coil da 0.6 a 1 ohm si svapava alla grandissima).

Tale circuito viene impropriamente chiamato “MOSFET” (metal-oxide-semiconductor field-effect transistor), che in realtà è la denominazione del chip che regola e stabilizza la il voltaggio e conseguentemente la potenza erogata (tecnicamente del tutto simile a quelli utilizzati negli amplificatori audio) e quasi tutti dotati anche di protezione da inversione di polarità della batteria.

Passa di moda lo svapo in bottom feeder, tutto dimenticato?

No. Un circuito privo di display (e quindi estremamente compatto nelle dimensioni), leggero e non ingombrante è ottimo per poter essere utilizzato su dispositivi (sia a “tubo”, sia a box) molto leggeri e magari di piccole dimensioni (che utilizzino batterie 18350, tornate di gran moda)

Il bomberino di evolve e nasce il suo fratello maggiore, il “Bomber Pro” che avrà una maggior diffusione, giunsero i cinesi con un loro dispositivo (il Clickfet), molto utilizzato dai modder nonché altri circuiti proprietari quale l’HILT utilizzato dall’omonima box di BPM Mods, dotato di regolazione di voltaggio a 4 livelli presettati, come il circuito utilizzato da DotMod sulle sue DotAio e DotStick.

E anche “mamma” Evolv non sfugge, dopo il primo Kick produce un circuito (il DNA Go) che è in tutto e per tutto un Mosfet dotato di voltaggi selezionabili presettabili tramite il loro programma per PC eScribe.

Peculiarità delle varie versioni? Vado a palato, a gusto personale, dato dall’uso: il Bomber Pro è forse quello dall’erogazione più aggressiva, un mini circuito in grado di dare le stesse emozioni d’uso dei vecchi DNA30 di Evolv.
Il Clickfet, anche lui ottimo nella stabilizzazione del voltaggio, è meno aggressivo ma ha una gestione della batteria migliore (e cosa è la gestione della batteria se ne parlerà poi), in grado di “spremere” la batteria ed erogare stabilizzato fino al limite della soglia di discarica allungando le durate d’uso.
L’Hilt di BPM Mods è un ottimo dispositivo in grado di offrire in più la possibilità di erogare su quattro soglie di voltaggio stabilizzato, selezionabili tramite il tasto di attivazione ed indicati tramite cambio di colore del led posto sul tasto stesso.
Il circuito di DotMod fa le stesse cose dell’HILT ma con una aggiunta interessante, una specie di “mini circuito TC”: utilizzando le sue coil proprietarie e attivando la funzione, la box va in blocco automatico nel caso di tank vuoto, evitando di bruciare il cotone della coil e le proverbiali “steccate” per mancanza di liquido.
Sul DNA Go, meglio ancora: con l’ultimo aggiornamento firmware è possibile impostare tre range diversi di resistenza (da… a…) e ad ognuno di questi abbinare tramite il programma eScribe fino a 5 livelli di potenza distinti, rendendolo un circuito duttile e adatto per tutti i tipi di svapo e di coil (usato finora sulle Orion di Lost Vape  e sulla eccellente Revo GO del modder francese Revo67).

Tutti questi circuiti, privi di display, hanno comunque la possibilità di venir “capiti” tramite un led di segnalazione (se non nascosto dai modder durante il montaggio) in grado di indicare lo stato di accensione o spegnimento del circuto o segnalare errori come batteria scarica, coil difettosa in cortocircuito, coil di resistenza troppo bassa e fuori dai range di utilizzo stabiliti, cosa molto comoda.

Pregi? Difetti?
Difetti, forse solo la mancanza di funzioni come il controllo di temperatura o la regolazione in continuo della potenza o del voltaggio, per via della loro semplicità, funzioni non per forza necessarie in caso di svapo MTL in modalità variwatt.

Pregi? Tanti.

Intanto, il poter svapare con dispositivi semplici e di piccole dimensioni (anche se non sempre economici) in tutta sicurezza, col voltaggio stabilizzato (e conseguentemente senza la sensazione che io odio di “svapo calante”, che si infiacchisce via via che la batteria utilizzata perde carica e a mancanza di regolazione della potenza, se si utilizzano materiali come il NiChrome per la coil e valori di resistenza da 0.6 a non troppo sopra l’ohm diventa quasi impercettibile.

E, per via delle dimensioni del circuito, su dispositivi super piccoli, magari in batteria 18350 (in grado

Esempio di simpatica mini
box a Mosfet con batteria
18350

di reggere non più di tre o quattro ore di svapo, non tanto ma perfette per un film dopocena), dimensioni compatte date anche dalla mancanza di un display LCD tipico dei circuiti veri e propri.

E il prezzo: mediamente un circuito Dicodes BF60 si trova in vendita (almeno negli shop, all’ingrosso non so) sugli 80/85 euro, un DNA60 sui 70/75 euro, un circuito MosFET si trova invece a prezzi intorno ai 15/20 euro l’uno.

E, dalla parte dei modder, la facilità di cablarlo (in pratica, solo le saldature che vanno dalla batteria al pin 510 della vaschetta), la semplicità di costruzione (non richiede scassi di dimensioni eccessive per installarlo ne fori di grosse dimensioni, non avendo un display LCD) oltre che la robustezza: ho fatto esperimenti su una box bf di livello “normale” e con un prezzo “non high end” e mettere fuori uso un circuito MosFet per perdite di liquido o uso maldestro è cosa quasi impossibile e salvo il caso di circuito difettoso dalla produzione, un dispositivo a MosFet è al 100% esente da rischio di riparazioni in garanzia.

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